Wednesday, April 20, 2011

Sentire e/o ascoltare

Che tra sentire e ascoltare ci sia una differenza è diventato un luogo comune.
Più immediato e superficiale è il “sentire” mentre l'“ascoltare” è una maniera più mediata e consapevole di udire, che implica un'elaborazione dello stimolo sensoriale.
Provo ad ascoltare l'appartamento dove abito e mi viene da chiudere gli occhi (per guardare meglio mi sarei tappato le orecchie?). C'è il ticchettio di un orologio, la ventola del computer, lo scarico d'acqua dei vicini (di notte si sente anche un armadio che cigola o l'interruttore della luce), i bambini che giocano in cortile, il canto di un uccello, l'autobus di linea che prende velocità dopo il cavalcavia...
E' l'impronta sonora della mia casa, la conosco, la abito, mi avvolge senza che ne sia del tutto cosciente. La “sento” tutti i giorni ma ne sono cosciente sono nei momenti in cui la “ascolto”. Se vado a casa di amici o dormo una notte in albergo mi accorgo della differenza. Tutti i suoni sono nuovi, da interpretare, sento di meno e ascolto di più, insomma.
Se volessi raccontare l'impronta sonora della mia casa registrando e successivamente mettendo in successione quei suoni, oltre che “ascoltare” in fase di ripresa avrei bisogno di un ulteriore livello di attenzione: valutare cioè quanto quei suoni, - presi nella singolarità e messi in successione tra loro - siano anche “audiogenici” e cioè capaci di essere espressivi e significativi anche per persone che non abitano la mia casa.
Questo della casa è solo un esempio, il primo e il più ovvio.
Il mondo è pieno di ambienti, suoni, musiche, voci, storie interessanti verso cui possiamo volgere nostro ascolto e il nostro microfono. Ogni volta, sia in fase di ascolto e registrazione che in quella di montaggio, dobbiamo imparare a valutare il potenziale audiogenico di ogni suono, e cioè la sua chiarezza e la sua evidenza, insomma quello che lo affranca da un “sentire” frettoloso e lo rende degno di “ascolto” e cioè capace di evocare e di raccontare.

Pino Pace

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