MAI ARRENDERSI MAI. Storie di genitori resistenti.
Una nascita: aspettative, speranze, un progetto di vita.
Poi qualcosa non va nella direzione prevista, un medico pronuncia la parola ‘disabile’ e il progetto di vita iniziale viene stravolto; niente è come prima.
A cambiare sono soprattutto gli sguardi degli altri. Per strada, quando cominciano le prime passeggiate. A scuola, quando i compiti da fare il più delle volte non sono gli stessi dei compagni. A casa, quando hai 16 anni e voglia di uscire ma il telefono per te non squilla mai.
Poi però un gruppo di genitori decide di riunirsi; partecipa ai convegni, tiene lezioni nelle aule universitarie ai futuri medici ed insegnanti, entra nelle scuole e parla con i bambini di disabilità. Ciascun genitore racconta suo figlio e lo descrive attraverso il suo personale punto di vista.
Prende la parola la mamma di Roberta, una ragazza bionda di 20 anni, che vuole lavorare con i bambini e a cui piace ballare; poi comincia a raccontare il papà di Federico dell’ultimo giro per il mondo in bicicletta fatto con suo figlio. Dopo di lui parla Daniela, la mamma di Valeria, laureata con lode in Scienze internazionali e diplomatiche, appassionata di concerti e amante della Bassa Emiliana. E poi la mamma di Lele, di Gin, di Michela e con loro altri genitori.
Ecco, forse è cominciata una piccola rivoluzione.
Tu che sei in prima fila e ascolti non distingui più se la persona di cui stanno parlando è down, autistica o cos’altro perchè finalmente ti viene presentata in maniera adeguata: con un nome e un cognome.
Perchè un disabile è prima di tutto PERSONA; è un fratello, una sorella, un cugino, un amico.
Ha, come tutti, gusti e inclinazioni personali; ha limiti evidenti, che non può nascondere come invece può fare chi disabile non è, ma è anche dotato di potenzialità e risorse.
Ti accorgi che il punto di vista di questi genitori è parziale perchè filtrato dall’affetto, ma non necessariamente meno autorevole di quello di medici e altri professionisti.
Perchè l’affetto è un filtro che non distorce la realtà, ma che semplicemente ne porta a galla gli aspetti migliori.
E se un professionista ha un’ indispensabile competenza specifica, in qualità di medico, insegnante o educatore, un genitore conosce l’individualità della persona e i due saperi devono essere affiancati e sostenersi a vicenda.
Sono genitori “resistenti”, questi, perchè con il loro impegno si oppongono ad una forma mentale, ad una tendenza culturale che si ispira ad un improbabile modello di perfezione al quale adeguarsi ad ogni costo e che sottovaluta ed emargina chiunque non risponda a determinati criteri di produttività.
E sono “resistenti” perchè tengono duro, il loro impegno non può conoscere soste; è costante, quotidiano e dura per tutta la vita.
E quando ti alzi e te ne vai, tu che disabile non sei, capisci che quello che hai ascoltato in fondo riguarda anche te. Che perfetto non sei e che hai a che fare tutti i giorni con altre persone altrettanto imperfette; che fino ad oggi hai concepito come efficace il solo linguaggio verbale, mentre esistono mille modi di comunicare; e che, soprattutto, come dice Claudio Imprudente, fino ad oggi non hai mai pensato realmente di metterti allo stesso livello di una persona disabile, di guardarla negli occhi e considerarti alla pari.
Stefania Claudio
La foto di coperina è di Erica Borghi
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